La Fede nelle
nostre Costituzioni e Disposizioni Generali e come è stata vissuta dai nostri Fondatori:
San Camillo, Santa Giuseppina Vannini e il Beato Padre Luigi Tezza
Porta Ingresso Chiesa a Grottaferrata Casa Generalizia |
Quest’anno sarà un’occasione propizia
perché tutti i fedeli comprendano più profondamente che il fondamento della
fede cristiana è «l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla
vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Fondata sull’incontro
con Gesù Cristo risorto, la fede potrà essere riscoperta nella sua integrità e
in tutto il suo splendore. «Anche ai nostri giorni la fede è un dono da
riscoprire, da coltivare e da testimoniare», perché il Signore «conceda a
ciascuno di noi di vivere la bellezza e la gioia dell’essere cristiani.
L’inizio dell’Anno della
fede coincide con il ricordo riconoscente di due grandi eventi che
hanno segnato il volto della Chiesa ai nostri giorni: il cinquantesimo
anniversario dell’apertura del Concilio
Vaticano II, voluto dal beato Giovanni XXIII
(11
ottobre 1962), e il ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo
della Chiesa Cattolica, offerto alla Chiesa dal beato Giovanni
Paolo II (11
ottobre 1992).
[…] L’Anno della fede
vuol contribuire ad una rinnovata conversione al Signore Gesù e alla riscoperta
della fede, affinché tutti i membri della Chiesa siano testimoni credibili e
gioiosi del Signore risorto nel mondo di oggi, capaci di indicare alle tante
persone in ricerca la “porta della fede”. Questa “porta” spalanca lo sguardo
dell’uomo su Gesù Cristo, presente in mezzo a noi «tutti i giorni, fino alla
fine del mondo» (Mt 28, 20). Egli ci mostra come «l’arte del vivere» si
impara «in un intenso rapporto con lui». «Con il suo amore, Gesù Cristo attira
a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa
affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per
questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di
una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare
l’entusiasmo nel comunicare la fede».
Perché l’Anno della fede?
Papa
Benedetto XVI ha indetto questo speciale Anno per invitare ad una
«autentica e rinnovata conversione al Signore, unico salvatore del mondo»
(Lettera Apostolica Porta fidei 6). Egli auspica che esso susciti in
tutti i credenti «l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con
rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia anche
per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, ed in
particolare nell’Eucaristia, che è il “culmine verso cui tende l’azione della
Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia” (Sacrosanctum
Concilium 10). Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di
vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della
fede professata, celebrata, vissuta e pregata (cf. Costituzione Apostolica Fidei
Depositum, 116), e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un
impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno»
(Porta fidei 9).
Anche
se non mancheranno momenti pubblici di celebrazione e di comune confessione
della fede, lo scopo specifico di questo anno è dunque che ogni cristiano possa
riscoprire «il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore
evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo».
San Camillo
Parte Seconda: Formazione Religiosa. Cap.
II “Vivere a Gesù Cristo”
Stralci più significativi:
La rinunzia è l’atto
iniziale, fondamentale, dell’anima che intende consacrarsi a Dio. Ma non si
arriva a Dio che per Gesù Cristo, e ci si unisce a Gesù Cristo con la fede in
Lui. Con l’orazione, fatta in Lui (nel suo nome), con Lui e in Lui, ci si
innalza e stabilisce in Dio.
Fede
dunque e orazione ci fanno vivere in Gesù Cristo. Camillo ha dato e lasciato
edificanti esempi ed efficaci insegnamenti di spirito di fede e di orazione.
La
generosa rinunzia a tutte le cose del mondo e a se stesso, meritò in Camillo un
sensibile aumento della fede. Primo atto fu il riconoscimento di così gran
dono. Quanto , o Signore, quanto vi devo
e quanto vi sono obbligato per il dono della fede! E guai a me peccatore se non
saprò conoscere così gran beneficio.
Educato e cresciuto nella fede dalla
piissima sua madre, ma rimasto troppo presto privo di lei, Camillo trascurò
fino a 25 anni gli obblighi della fede. Pure questa non era morta, fino alla
conversione (2 febbraio 1575), da quel giorno si ridestò e splendette in lui
sempre di più. Una fede e operante.
La sua fede
La fede di Camillo era
integra, umile, luminosa. Abbracciava tutte le verità, con desiderio ardente di
conoscerle, impararle e insegnarle. […] Insegnava il catechismo ai poveri che
venivano al convento a cercare l’elemosina, completando la carità materiale che
loro faceva. Se ne incontrava qualcuno per la strada, dopo averlo largamente
soccorso, gli chiedeva se sapeva il “Pater”, l’ “Ave” e occorrendo, gliela
insegnava.
Fin dagli inizi della
Compagnia ordinò ai Religiosi addetti all’ospedale: “Tutto quel tempo che avanza dai servizi comuni e particolari ognuno
che non sarà impedito procuri spenderlo fra i poveri insegnando loro il Pater
noster, l’Ave Maria, il Credo e altre cose appartenenti alla salute
dell’anima”.
Con fede umile Camillo
accettava tutto dalla Chiesa, sua tenerissima Madre, con sottomissione perfetta
e adesione immediata. Il suo amore al Vicario di Gesù Cristo, il Papa, era
incondizionato. Riguardava le disposizione della Santa Sede come esplicite
dichiarazioni della volontà di Dio. […] Sul letto di morte, una delle ultime
raccomandazioni ai suoi Religiosi fu l’obbedienza e l’amore alla Santa Chiesa e
l’attaccamento al Romano Pontefice.
Provava il bisogno di
manifestare la propria fede, né sempre gli riusciva di contenerne gli impeti e
di moderarne le espressioni. Celebrando la Santa Messa recitava il Credo, in
particolare gli articoli che racchiudono i più alti misteri, con visibile
commozione; tremava nella persona, accennava ripetutamente con la testa, alzava
il tono della voce, scandiva le parole. All’ospedale nel preparare gli infermi
alla Comunione generale mensile, da lui predisposta e ardentemente zelata,
usciva in espressioni che colpivano, impressionavano e commovevano fino alle
lacrime.
Alle parole del sacerdote:
“Ecce Agnus Dei…” Camillo trasfigurato dall’ardente sua fede esclamava: “Ecco, o poverelli, la vostra medicina!
Preparatevi a ricevere il Signore, apritegli il cuore: uscite incontro al Re
del cielo: domandategli perdono dei vostri errori, perché Egli è quel Dio che
avete offeso! Non dubitate della divina presenza, perché se pur con i sensi
sentite pane, vedete pane, toccate pane, a ogni modo non è pane materiale, ma
sotto quelle specie sacratissime si nasconde in Corpo, Sangue, Anima e Divinità
Gesù Cristo, il Figliolo di Dio, nato da Maria Vergine!.
La fede di Camillo fu
soprattutto operosa. La commissione esaminatrice dei pochi scritti del Santo,
in ordine al Processo di Beatificazione, riconobbe che “l’applicazione di lui
fu piuttosto a far opere di fede e di carità che a scriver opere di studio”. La
carità di Camillo era fondata su la fede, fede viva e operosa.
Prima manifestazione fu lo
zelo per l’onore di Dio e la salvezza delle anime. Camillo era ripieno di Dio: tutte le sue parole e opere ne davano
testimonianza. […] Tenendo conto che Camillo visse nel periodo più aspro e
violento delle contese religiose riformistiche, non solo non deve far
meraviglia ma è anzi singolarmente conseguente alla sua indole che avesse quasi
in orrore gli eretici. Il loro nome – diceva- suona al mio orecchio come quello
di “demoni”.
Zelo missionario e desiderio del martirio
Con ardore apostolico Camillo
pensava e pregava per i pagani, dicendo talvolta: quanto volentieri darei il mio sangue per la loro salvezza”. […]
Soddisfare questo suo desiderio, la Provvidenza gli offerse molte occasioni di
patire per la fede, oltre il conforto di portare in seno alla Chiesa alcuni
infedeli ed eretici. Perciò, con piena convinzione, ricordava a sé e ai suoi
Religiosi: gli ospedali sono le nostre
Indie e il nostro Giappone.
Quanto al patire per la fede,
n’ebbe tante continue occasione così che il Cicatelli poté affermare che “
all’infuori dello spargimento del sangue, in cambio del quale versò e sparse
tante lacrime, nessuna cosa gli restò quasi a patire di quelle che patiscono
per la fede molti santi confessori di Gesù Cristo”.
Benedetto XIV nel Concistoro
del 18 aprile 1746, in ordine alla Canonizzazione di Camillo, disse: “ Parecchi
Teologi e Padri (della Chiesa) chiamano martiri non soltanto quelli che sono
uccisi da gli eretici e da gli infedeli in odio alla religione cattolica, ma
anche quei Santi che si occuparono sempre nel servizio di Dio e della salute
dei prossimi, abbracciando in modo assiduo e continuo le opere di carità, non
solo ordinarie ma difficili ed eroiche, fino all’ultimo della vita. Difficilmente
si potrebbe trovare un modello più eminente, da classificare tra codesti
martiri di Camillo de Lellis”.
Il martirio di lui, per il
trionfo della fede fu di molti anni, ogni giorno, persuaso che sia un preciso
dovere per tutti i Ministri degli Infermi accettarlo e sostenerlo. Come i Padri Gesuiti – spiegava ai suoi
Religiosi – e altri Missionari si
affaticano fino a spargere il sangue per convertire gli infedeli, così noi
dobbiamo fare l0 stesso per gli infedeli che vengono negli ospedali.
Le “proteste” di fede
Camillo esercitò lo zelo
missionario tra i cristiani e innanzitutto tra gli infermi. Nell’ospedale le
sue premure tendevano tutte ad assicurare ai malati la salute dell’anima. […]
Le sollecitudini maggiori era per i morenti. Pareva, dice un teste, che li
“sollevasse fino a Dio”. Insisteva in particolare per “le proteste”, cioè per
la professione di fede. Ne metteva egli stesso in bocca ai morenti le parole.
Le proteste erano divise in
tre punti. Il primo, era un atto di fede; il secondo, di speranza nella
misericordia di Dio, in particolare nel Sangue preziosismo di Gesù Cristo
sparso per noi; il terzo, era una ferma protesta contro ogni tentazione di
sfiducia e disperazione.
Suggeriva ai morenti di
ripetere con lui, almeno col cuore, di
voler morire nella fede confessata dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana,
nella quale son morti tanti confessori, martiri e sante vergini e per la quale
dovremmo esser pronti a spargere il sangue ed esporre mille volte, se tante
occorresse, la nostra vita.. State saldo – diceva a qualcuno che vedeva
incerto e timoroso – state saldo nel
confessare la vostra fede, e sperate nella pietosa clemenza di Dio che può
salvare ogni peccatore, per scellerato che sia, quando dà segni di pentimento,
mentre tutti i peccati del mondo, di fronte alla grande misericordia di Dio e i
meriti infiniti del Sangue di Cristo, sono meno di una goccia d’acqua in seno
al mare.
Era
nota a molti la singolare efficacia colla quale Camillo induceva i più ostinati
peccatori a penitenza e le mirabili risorse con le quali disponeva i morenti a
ben morire: una grazia e un talento che gli venivano dalla straordinaria carità
con cui li assisteva.
[…]
Per dilatare la fede e sostenere la pietà Camillo, sebbene tanto povero, non
badava a spese, acquistando catechismi, corone, immagini devote, medaglie da
distribuire a ogni incontro.
La fede dei prodigi
“Se avete fede quanto un
granello di senapa – ha detto Gesù – potrete dire a questo monte: passa da
questo luogo e passerà, e nessuna cosa sarà a voi impossibile” (Mt., 17,19). Camillo ebbe la fede che
opera i prodigi.
Nei Processi Apostolici si
parla di doni straordinari e di prodigi operati da Dio per mezzo del suo Servo,
mentre era in vita. Tra i doni sono ricordati quello della scienza infusa,
della profezia, della penetrazione dei cuori.
Avrebbe voluto e anche i suoi
Religiosi avessero la fede dei miracoli. Un giorno il Padre Uccelli si prostrò
ai piedi del Santo pregandolo di fargli un segno di croce su gli occhi malati,
ma con poca fede di ottenere la guarigione. Camillo, che se n’accorse, lo
benedì ma soggiunse subito: poca fede,
poca fede! E la grazie non venne.
Fede nella divina Provvidenza
Ebbe
una gran fede nella divina Provvidenza. Credete e seguì alla lettera il monito
del Vangelo: “Cercate prima il regno di Dio” (Mt., 6,33), “date e vi sarà dato”
(Lc., 6,38). Dio è fedele – soleva
dire – e non manca mai ai suoi servi. […] Un giorno che all’ospedale non c’era
più grano, avendo saputo che i suoi ne tenevano riposto ancora un sacco, mandò
a prenderlo. Quelli, impauriti di dover soffrire la fame, ne mormoravano. Il Santo,
rimproverandoli: uomini di poca fede e di
minor carità – disse loro – perché
non vi fidate di Dio? Da quel giorno
un fornaio si offerse di dare a credito, ogni mattina, una cesta di pane bianco
tanto buono che mai si era mangiato l’eguale. […] Nell’estate del 1605, c’erano
nella Comunità di Napoli non meno di cento Religiosi. Una domenica mattina il
fornaio che dava pane a credito da molto tempo, disgustato mandò a dire che non
avrebbe dato altro finché non fosse stato soddisfatto. Avvicinandosi l’ora del
desinare, il padre Ministro andò a darne avviso a Camillo. Non ho denaro – rispose – ed
ecco qui la borsa vuota attaccata ai piedi del Crocifisso: ma andate a far
orazione e confidate nel Signore che non lascerà morir di fame i suoi servi. Poco dopo si fermava alla porta di casa
una carrozza e ne scendeva un gentiluomo di corte che per incarico della
contessa di Benevento, viceregina di Napoli, consegnava al Santo una polizza di
cambio di 200 scudi. Frattanto due alabardieri, che avevano accompagnato il
gentiluomo, scaricavano una gran cesta di pane bianco profumato. Fratelli, abbiate fede – ripeteva
commosso Camillo distribuendo ai suoi Religiosi quel pane - e
confidate nella benignissima Provvidenza di Dio, che non abbandona i suoi Servi nei or bisogni.
[…] Nel 1612, a Bucchianico, si pativa e moriva di fame. Camillo entrando nella
dispensa di casa vi trovò alcune poche provviste che i Religiosi vi tenevano
gelosamente guardate; dette subito ordine che si distribuisse ogni cosa ai
poveri, dicendo: Date ai poveri che Dio
ne darà a voi. Da quel giorno non mancò mai il necessario. […]
[…] Nella lettera testamento, con la povertà raccomando l’intera
fiducia nella divina Provvidenza: Chi
dubiterà che (nostro Signore) non
provvederà alla nostra Religione, essendo che la nostra Religione esercita
un’opera tanto viva, non solo nell’ospedale ma nella raccomandazione delle
anime, carità tanto grande, accetta e gratta non solamente a Dio, ma anche al
prossimo, il quale se avrà un pane (per dir così) o spartirà mezzo per noi? sì
che in questo non bisogna dubitare che manchi il necessario perché la grazia
del Signore ne avremo da buttare, facendo il debito nostro.
FEDE
La fede è la virtù teologale infusa da Dio nell'intelletto mediante la quale si dà il proprio assenso alla Verità rivelata per l'autorità stessa di Dio che la rivela.
Padre Luigi Tezza
Il Servo di Dio, nato in una famiglia molto religiosa e pia, fin da giovanissimo visse in un clima di fede; la presenza di Dio entrò nella mente e nei sentimenti di Luigi Tezza in una forma e assiduità certamente di molto superiore alla sua età; e tale rimase per tutta la vita in un’incessante intensità di crescita fino a raggiungere i gradi dell’unione con Dio. Padre luigi Tezza, preoccupato di piacere a Dio e soprattutto di compiere sempre la Sua volontà si impegnò a ordinare tutte le sue azioni alla maggior gloria di Dio. E il Signore corrispose al suo servo fedele con il dono di una fede luminosa che lo fa giungere a vivere di fede, come il giusto del nuovo testamento: «Il giusto vivrà mediante la fede» (Rom 1,17).Non si nota nel Servo di Dio un raffreddamento o rallentamento nel fervore della fede neanche nei momenti, e sono vari, difficili e avversi e anzi proprio in tali situazioni la sua fede eroica in Dio risplende in modo del tutto particolare.
Dio era il suo centro, il punto di
partenza e di arrivo di tutto il suo operare. I concetti di “amabilissima
volontà di Dio”, “prodigi”, “grazia”,”amore”, “misericordia”, “confidenza”,
“abbandono” sono molto presenti nella sua corrispondenza, in particolare quella
diretta al suo padre spirituale, p. Luigi Artini.
Il Servo di Dio, con la virtù della fede
ha informato tutta la vita per mezzo
dello spirito di fede,
elevandola al piano soprannaturale. Egli ha saputo vedere Dio attraverso il
prisma della fede ed ha giudicato con essa tutti gli eventi e le cose.
P. Luigi Tezza affermava:
«Nulla avverrà che nel disegno della sua amabilissima provvidenza non concorra
alla Sua maggior gloria ed al nostro spirituale vantaggio».[1] Madre Alfonsina Ferrari, che ha capito
nell’intimo p. Luigi Tezza, testimonia che il Servo di Dio «in tutto e in tutti
vedeva Dio, e in ogni evento adorava l’amabilissima volontà di Dio».[2] Egli raccomandava alle sue figlie
spirituali di non lasciarsi prendere dall’instabilità dei sentimenti umani o
delle instabili idee personali convinto che solo su Dio, che è l’immutabile, ci
si deve poggiare. Dice: «Abbiate fede, figlie mie, e fede viva, che vi faccia
sempre essere vere religiose per Iddio e non per la creatura. Iddio non si assenta
mai e mai non muta».[1] Raccomandava di frequente a loro di «operare
in ogni cosa con spirito di vera fede».[2]
Il Servo di Dio
per la virtù della fede vedeva nel dolore una vera benedizione di Dio, perché lo considerava fonte di
purificazione e possibilità di offrire a Dio in modo concreto la propria vita.
Diceva infatti quando nascevano difficoltà nella casa di noviziato in S.
Giuliano: «Il Signore ci vuol proprio bene, perché tanto ci amareggia»;[3] e ripeteva le parole bibliche «Fiat
voluntas Domini. Dominus dedit, Dominus abstulit sit nomen Domini benedictum».[4]
E quando in
comunità le cose non vanno bene da un punto di vista umano egli afferma invece
che Iddio ha posto su questa «le Sue più tenere compiacenze, e negli
imperscrutabili disegni di Sua Provvidenza»[5] Dio progetta
cose grandi. Ed ancora in un contesto di sofferenza dice al p. Artini: «Insomma
se Iddio lo vuole, od almeno lo permette: Lui sempre benedetto».[6]
Il Servo di Dio
spiegava alle figlie spirituali quanto egli comprendeva delle vie di Dio e cioè
che il dolore e la sofferenza passano, mentre il premio di aver ben sofferto
non passerà mai: «Coraggio, figlia mia diletta; il tempo passa presto; le
sofferenze e i sacrifici passano, ma delle une e degli altri restano sempre i
frutti dolcissimi. Siami generosa e tanto più allegra quanto più il Signore ti
fa sentire la benedetta Sua Croce».[7]
La fede per il
Servo di Dio diviene sicurezza e fonte di consolazione per
lo spirito. Di fronte alle oscurità egli è sicuro che Dio non abbandona i
propri figli. Il Signore è per lui “scudo e baluardo”
«Rincrescionmi assai le angustie di V.P.
La cui fede per altro, che opera prodigi ogni dì, va oltre ad ogni più angustioso
distretto.
Continuiamo a confidare Padre, Dominus providebit»[8]
«Intanto
speriamo, e viviamo tranquilli nella
confidenza totale in Dio Signore, che certo ci farà andar bene tutto»[9]
«Iddio non ci
abbandonerà. Di sì bella confidenza
V.P. me ne diè sempre esempio preclaro, ed io pure vo' seguitarLa sempre e
vincermi ed esser sempre e mostrarmi lieto e tranquillo»[10]
«Non ci può
essere che lo spirito della Croce di Gesù che tener possa in equilibrio a tali
urti e cimenti».[11]
I momenti dolorosi, diceva il Servo di Dio,
sono «portabili solo nella volontà o permissione sempre adorabile ed amabile di
Dio».[12]
« Faccia il
Signore ciò che oggi preghiamo: Veni
ut hi qui in tua pietate confidunt, ab omni citius adversitate
liberentur».[13]
«Insomma, sì,
faccia il Signore, ch'Ei ci vede meglio di noi»[14]
Caratteristica
del Servo di Dio è l’amore alla volontà di Dio, frutto della sua fede incrollabile. Egli nella sua vita fu
sempre disposto «in tutto alla Volontà sempre Amabilissima del Signore»[15] espressione sua tipica, molto presente nei
suoi scritti e come dimostrano i fatti concreti percorribili dalla vita che ha
condotta.
«Sì, sia sempre
ed in tutto come vuole il Signore, nè sarà mai, spero colla Sua grazia, che
voglia rifiutare le Sue sempre dolcissime amarezze»[16]
«Sia fatta la
volontà del Signore». [17]
Il 1867 è un
anno di emergenza per le istituzioni religiose; nel Veneto era in vigore
infatti la legge di soppressione dei religiosi, che vedono ormai il loro futuro
segnato; la posizione del Servo di Dio, il giovane Tezza, è chiara: in tale
situazione la sua reazione è un ininterrotto atto di fede radicato nella sua
spiritualità. Egli vi vede un appello di Dio e confida interamente in Lui. La
prova di questo stato d’animo appare nelle lettere di questo periodo, dalle
quali stralciamo alcuni passi. Scrive all’Artini il 1 aprile 1867:
«Padre! Ah quante volte da jersera ripetei
specialmente per V.P. il "Si possibile est transeat a me calix iste...
veruntamen non mea sed Tua voluntas fiat". Intanto va benissimo l'istanza
e speriamo. Chi sa che intanto... Oh facesse il Signore! Non ho ancora affatto
spenta la confidenza. Etiam si occiderit me
in hoc ego sperabo.[...] ogni Croce suole trar dietro a sè una serie
delle belle grandi consolazioni, e sì anche per V.P. si avvererà il - Secundum
multitudinem etc.».[19]. Qualcuno
in comunità aveva forse proposto di
ritornare nelle proprie case, non vedendo altra possibilità d’uscita alla
soppressione, ma il Servo di Dio, scrivendo al padre spirituale, assicura che
lui piuttosto che uscire dal convento o deporre l’abito «è disposto anche a
subire la violenza»[20] da parte degli
anticlericali.
E
quando, per disposizione dei superiori con il noviziato venne fatto rifugiare
in una casa di conoscenti di fiducia dice:
«Sono queste le prime parole e i primi palpiti che
il suo Luigi Le addirizza dalla terra dell'esilio. Le emozioni del mio cuore in
questo momento meglio che io esprimerLe potrà V.P. immaginarle, che tutte però
s'incentrano e si compendiano nel sempre amabilissimo: Fiat voluntas tua.
Nella presente dolorosissima circostanza però dobbiamo assai ringraziare il
Signore, di averci provveduti così»[21].
Quando
nel 1867 egli preferì rinunciare a partire per l’Africa come missionario,
perché il progetto non era conforme alla volontà dei Superiori dell’Ordine
confida all’Artini: «Sono in vero afflittissimo nel vedere ridotta a meno che
nulla un'impresa che pareva ormai favorita, ma così ha permesso il Signore e
così sia».[22] Anche il p.
Artini era contrario alla partenza per
l’Africa e il Servo di Dio, timoroso di non aver obbedito pienamente al
desiderio del suo superiore - mediatore della volontà di Dio - afferma che il
solo pensiero che avrebbe potuto tradire il suo padre spirituale lo straziava e
continuava: «Ringrazio il Signore, non fu e non sarà mai colla divina grazia in
eterno: come non è e non sarà mai ch’io voglia muovere un passo fuori della
volontà di Dio».[23] Padre Luigi
Tezza rimase fermo nel proposito di compiere la volontà di Dio espressa dai
suoi superiori anche di fronte alle insistenze di chi voleva farlo partire per
l’Africa perché come egli stesso dice:«non mi sento venir meno dalla pienissima
confidenza nel Signore che sa mutare Prava in directa et aspera in vias
planas nient’altro da me desiderandosi e volendosi che il Suo SS. Volere»[24] e rimase così
nella pace e nella tranquillità dello spirito:
«Io intanto sono tranquillissimo [...] anche nella
dolorosa circostanza di vedermi
pressoché fallite nel loro effetto quelle care speranze a cui tanto
ardentemente anelava nel secreto dell'anima mia da ben più che otto anni. Ma
così vuole Iddio e così sia; che senza la sicurezza del voler Suo la vita mi
sarebbe non morte solamente, ma importabile inferno».[25]
Nel maggio del 1885, quando il Servo di Dio fu
confermato nella carica di superiore Provinciale per la Francia non ne rimase
contento perché avrebbe preferito non esserlo ma, come aveva già dimostrato in
tante precedenti occasioni preferì compiere la volontà di Dio. Scriveva al
Vicario generale, p. Gioacchino Ferrini:
«Ah! Mon Père bien aimé - si possibile est transeat a me calix iste! - Veruntamen non mea sed tua voluntas fiat».[26]
Lo
spirito di fede intensamente vissuto diventa per il Servo di Dio fonte di
consolazione nei dolori e
nelle infermità corporali, nelle prove interiori e nelle persecuzioni esterne.
Esso fa infatti comprendere che il soffrire passa, mentre il ‘ben soffrire’ non
passerà mai. Il Servo di Dio è convinto che «l'unica sorgente di conforto è la
Croce del nostro caro Gesù sempre feconda a sovrabbondanza di grazie».[27]
«A
questa sera Padre mio, ci venga ora qualche buona notizia: ma sarà ad ogni modo
sempre buona quando sia della volontà del Signore».[28].
Il
dono dell’intelletto
perfeziona la virtù della fede in sommo grado. S. Tommaso indica sei modi diversi
con cui il dono dell’intelletto fa penetrare negli aspetti più profondi e
misteriosi delle verità rivelate. Nel padre Luigi Tezza questo dono è stato
presente.
Madre Alfonsina Ferrari
testimonia che la Beata Giuseppina Vannini
affidò a lei una confidenza riguardante il Servo di Dio: in via Giusti
dopo aver celebrato la Messa portò la comunione al letto di una suora malata ma
«nel momento che con la sacra particola in mano stava per dire Ecce Agnus
Dei fu visto dalle suore presenti cambiare di colore e di atteggiamento nel
viso, quasi barcollante e come fuori di sè e, temendo si sentisse male, stavano
per portargli una sedia, ma dopo alcun tempo si riprese e poté proseguire le
preci di rito. La venerata Madre Fondatrice, saputa la cosa si diede premura di
chiedere al Padre se si sentiva male e se avesse bisogno di qualche rimedio; ma
egli assicurò che stava benissimo e che non gli occorreva niente, la Madre
però, impressionata del racconto delle suore, non voleva credere e insisteva
per voler sapere quello che era accaduto. Allora il Padre, vedendo che non
poteva dissimulare, le disse: Ebbene, figlia mia, a te posso dire la verità. In
quel momento, pensando di avere fra le mie mani Gesù, mi sono sentito
trasportare come fuori dai sensi e non ero più presente a me stesso. Ma ciò non
è niente, non farne parola con nessuno».[29]
Confidenza in Dio solo
Trovandosi a Roma, il Servo
di Dio provava sofferenza nel constatare che in quella comunità non si viveva
la vita comune perfetta, a cui era abituato, ma egli sperava che presto le cose
sarebbero cambiate in meglio. Esprimeva così, al padre spirituale, la sua
fiducia nel Signore: «Ma abbia pazienza Padre,
ancora un poco, e si farà giorno:
a non negli uomini sa, ed in
alcuna umana potenza ché so bene che "maledictus homo qui confidit in
homine" ma in Dio che non
può voler certo la distruzione delle opere Sue, interamente io confido».[30].
In
tutte le occasioni della vita egli confidava in Dio. Tranquillizzava sua madre,
Suor Camilla Nedwiedt, in apprensione perché non voleva che il figlio Scriveva
il 12 gennaio 1869:
«Del resto [ho] pienissima confidenza nel Signore che disporrà ogni cosa secondo la Sua amabilissima volontà ed alla Sua maggior gloria. Va bene così? Oh! sono allegro assai, contento, contentissimo... sarebbe forse predisposizione a qualche amarezza? E sia. Calicem quem dabit mihi Pater non bibam illum? Stretti alla Croce di Gesù tutto è soave. Prega e fa pregare perché sia sempre così pel tuo Luigi». Al p. Artini, che doveva trovarsi in una situazione difficile, scrive l’8 agosto 1869: «La confidenza nostra sia tanto più intera e forte quanta più vediamo l'affare destituito di mezzi umani e terreni, e umanamente osteggiato e combattuto».[31] Quando in Francia stava per essere espulso insieme agli altri confratelli, a motivo della legge di soppressione, affermava: «Ci teniamo tranquilli e fidenti in Dio, che d'un soffio può disperdere i disegni e le forze degli empi».[32]
Alla
Madre Vannini raccomandava spesso il «santo abbandono in tutto alla ss.ma
volontà del Signore».[33]
[1] Dalla lettera a Suor Camilla Sommacampagna, s. d., in
AFSC 1 A 098
[2] Dalla lettera a suor Alfonsina Ferrari del 30 gennaio
1895, in AFSC 1 A 014
[3] ALV 291/929 del 15 11 66 ad Artini
[4] ALV 291/978 del 26 11 66 ad Artini
[5]ALV 291/39 del 6 gennaio 1866 contesto di dolore
[6] ALV 291/1059 ad Artini del 18 12 66 contesto di sofferenza
[7] Dalla lettera a suor Ermenenziana Scalera del 23
gennaio 1902, in AFSC 1 A 077
[8] ALV 291/515 del 24 giugno 1866 ad Artini
[9] ALV 291/541 6 luglio 66 contesto di guerra ad Artini
[10] ALV 291/982 del 27 11 66 ad Artini
[11] ALV 291/994 ad Artini del 30 11 66 contesto di
sofferenza
[12] Dalla lettera a p. Artini del 28 maggio 1869, in ALV
294/262
[13]ALV 291/1070 21 12 66 conteso sofferenza
[14] ALV 291/1069 21 12 66 ad artini
[15]ALV Dalla lettera a p. Artini del 9 dicembre 1866, in
ALV 291/1030
[16] ALV 292/296 14 aprile 67
[17] ALV 292/508 17 06 1867
[18] ALV 292/229
[19] ALV 292/234
[20] ALV 292/247
[21] ALV 292/573
[22] ALV 292/650 del 4 agosto 1867 deve rinunciare alle
missioni
[23] Dalla lettera a p. Artini del 19 luglio 1867, in ALV
292/607
[24] Dalla lettera a p. Artini del 9 ottobre 1867, in ALV
292/804
[25] Dalla lettera a p. Artini dell’11 ottobre 1867, in
ALV 292/812
[26] Dalla lettera del 9 maggio 1885, in AG 1692/39
[27] ALV 292/235 del 2 aprile 67
[28] ALV 292/274 del 8 aprile 67
[29] Da Appunti
del venerato P. Tezza di Madre Alfonsina Ferrari, in AFSC privi di
segn.arch.
[30] Dalla lettera a p. Artini del 26-27 agosto 1870, in
AFSC 295/227
[31] ALV 294/393
[32] Dalla lettera a p. Artini del 3 ottobre 1880, in ALV
1686/132
[33] Dalla lettera s.d., in AFSC 1 A 0106
Madre Giuseppina Vannini
De heroica fede
Diomira
Bon: “La serva di Dio
nutriva una fede ardente verso il Signore, ed essa parlava ed operava
ricordando sempre di essere alla presenza di Dio” (Summ.p. 28, & 100)
Scolastica
Dal Savio: “Madre
Giuseppina ebbe dal Signore il dono della fede. Tutte le sue parole e le sue
azioni tendevano unicamente a dar gloria a Signore e alla salvezza delle anime.
Essa era veramente l’anima giusta che vive di fede; la sua fiducia in Dio la
manteneva serena anche dinanzi a tante difficoltà . non mi è possibile
ricordare l’esortazioni che di frequente essa faceva ma certo che erano
ispirate da un profondo spirito di fede e tendente a santificare le nostre
anime” (Summ. P. 61 & 212).
Maria
Emerentiana Scalera:
“Madre Giuseppina aveva una fede profonda e molto soda, poiché rifuggiva da
quelle che potrei chiamare sdolcinature” (Summ.p.79, & 272)
Angela
Della Vecchia: “…la
spiritualità di quell’anima che nulla curante dell’opinione altrui, era volta
ad altri lontani orizzonti” (Summ. p. 177 & 569).
Anna
Tagliaferri: “La mattina
alle quattro e mezza ci precedeva in Cappella, faceva cn noi la meditazione ascoltava la Messa e
riceveva la S. Comunione. Tutto faceva con raccoglimento, compresa di essere al
cospetto di Dio. Anche durante il giorno faceva delle visite a Gesù
Sacramentato, ed era presente in Cappella agli atti comuni” (Summ. P.47 &
166).
Maria
Emerentiana Scalera: “Le
preghiere dovevano essere recitate a
voce intellegibile, senza precipitare, perché essa diceva, che in quel momento
la creatura parla col Creatore. La meditazione poi doveva farsi con
raccoglimento, perché era in quel momento che il Signore faceva sentire alla
nostra anima la sua voce” (Summ. P.79, & 273).
Agnes
Le Conte: “Aveva una
grande confidenza nella Provvidenza del Signore” (Summ. P. 19 & 73).
Amantia
Perotti: “Tutto essa si
attendeva dall’amore di Gesù, pur ponendo da parte sua il maggior impegno
purché una cosa riuscisse” (Summ. P. 101, & 346).
Joanna
Pedon: “In tali
frangenti essa dice che le fu di molto conforto il pensare di aver fatto la
volontà del Signore ed il ripetere le parole: In te Domine speravi” (Summ. P. 7, & 30).
Felicitas
Squillari: “Madre
Giuseppina aveva una fede tanto viva da prendere tutto dalle mani del Signore,
anche i dolori avvertendo che Dio è nostro Padre e ci aiuta sicuramente” (Summ.
p. 39 & 141).
Carola
Dosi: “Vedeva in tutto
la volontà di Dio anche quando disposizioni pontificie si dimostrarono
contrarie alla nuova istituzione” (Summ. p. 50, & 178).
Scholastichae
Dal Savio: “La fiducia
in Dio la manteneva serena anche dinanzi a tante difficoltà” (Summ. p.61, &
212)
Bernardina
Scanapra: “La Serva di
Dio indirizzò tutta la sua vita ed i suoi sacrifici alla maggior gloria del
Signore e alla dilatazione del suo Regno” (Summ. p. 65 & 225)
Maria
Albina Silvestri: “Madre
Giuseppina nella sua vita non cercò altro che la gloria di Dio e per questo
affrontò di buon grado innumerevoli sacrifici” (Summ. p. 107, & 364).
Fidem
suam F.F. manifestavit in: a) La SS.ma Eucaristia massime nel Sacrificio
della Mesa; b) in Cristo Sofferente; c) nel Cuore di Gesù; d) nella Beata
Vergine Maria; e) in San Giuseppe; f) in
San Camillo.
“Quando poteva stare avanti
il SS.mo Sacramento aveva gli occhi
fissi sul Tabernacolo, parlava con Gesù come se lo vedesse). (Summ. p. 149
& 498).
Maria
Albina Silvestri: “Ho
notato in Lei una devozione ardente a Gesù Sacramentato, un amore profondo per
la Passione di Gesù Cristo che dimostrava con la pratica della Via Crucis”
(Summ. p. 107, & 364).
Maria
Sophia Marcio: “Era di
gran fede, manifestandolo nel suo amore alla Eucarestia, e mettendolo in
evidenza nelle sue conferenze nel noviziato dove veniva con gran frequenza.” (Summ.
p. 127, & 425).
Speciale fede nel Sacrifico Eucaristico:
Bernardina
Scanacapra: “La vidi
parecchie volte mentre assisteva alla Santa Mesa e notai in lei un
raccoglimento ed una devozione non comuni” (Summ. p. 64 & 224).
Rev.
S.ris A. Frare: “Il suo
profondo raccoglimento diceva che essa era compresa nei più sublimi misteri
della nostra Santa Religione. Non mancava alla Messa e Comunione diaria, anche
quando era fuori di comunità” (Summ. p. 149, & 499).
Sor.
Felicitas Squillari: “La
nostra Madre era molto pia, molto devota della Passione di N. Signore, tanto da
far spesso la Via Crucis, e di consigliarla a noi suore. Nella Settimana Santa
faceva sospendere i lavori materiali perché potessimo prendere parte alle
funzioni” (Summ. p. 39, & 143).
Coletta
Lombardi: “Madre
Giuseppina era molto devota della Passione di Gesù e nella Settimana Santa
teneva un contegno più raccolto mentre a noi raccomandava di osservare più
diligentemente il silenzio, meditando i dolori di Gesù e gli oltraggi che
riceveva dai cattivi cristiani. A suo dire, Gesù Crocifisso è il libro più
bello che tutti possono meditare anche chi non sa leggere. Praticava
l’esercizio della Via Crucis e amava proferire la giaculatoria:” Sacro Cuore di
Gesù confido in Voi, sono nelle Vostre Mani” (Summ. P. 43 && 155, 156).
Diomira
Bon: “Ardente l’amore
che nutriva per il S. Cuore di Gesù e diceva che proprio da questo Cuore era
uscita la nostra Congreagzione” (Summ. p. 29 & 102).
Maria
Albina Silvestrini:
“Madre Giuseppina ci raccomandava la devozione al S. Cuore per ottenere la
grazia dell’obbedienza e della osservanza delle Regole e della umiltà quando
eravamo riprese” (Summ. p. 107, & 364).
Diomira
Bon: “Nutriva profonda
devozione per la Madonna ed in proposito mi piace raccontare un piccolo
episodio che mi capito a Cremona nel 1908. Madre Giuseppina era giunta da Roma
dopo un viaggio che allora era faticoso e piuttosto lungo. Venuta in Cappella,
mi vide che stavo preparando l’altarino per il mese di maggio. Ma non rimase
soddisfatta, perché mi disse: “ Figlia
benedetta, quanto è meschino quest’altare che hai preparato per la Madonna!”.
Si mise all’opera, spostò dei banchi, trovò dei fiori finti e veri, prese in
sacristia quei drappi che vi erano e preparò un suntuoso altare dicendo: “Non è mai troppo quello che facciamo per la
nostra Mamma Celeste” (Summ. p. 28, & 102).
Felicitas
Squillari: “ Era
devota della Madonna e ci consigliava la
recita del S. Rosario. Durante le novene della Madonna, voleva che l’altare
fosse bene accomodato con lumi e fiore, perché diceva: “l’interno si deve vedere dall’esterno” (Summ. p. 40, in initio).
Maria
Albina Silvestri: “ Nei
riguardi di Maria Immacolata aveva accenti che manifestavano la devota
generosità del suo cuore. Ci invitava ad imitarla nell’ubbidienza, nell’umiltà,
nella purezza d’intenzione. A Maria Immacolata dovevamo chiedere di essere
illuminate nella Fede, nella Speranza, nella Carità” (Summ. p. 107, & 364).
Diomira
Bon: “Verso S. Giuseppe
aveva speciale devozione e quando si trovava nel bisogno, essa si raccomandava
a lui e ci invitava a fare con lei delle preghiere. Soleva dire che come aveva
provveduto alla S. Famiglia, così S. Giuseppe avrebbe provveduto al nostro
Istituto. Introdusse nel nostro Istituto l’abitudine di recitare ogni giorno
una particolare preghiera a questo Santo” (Summ. p. 29, & 103).
Bernardina
Scanacapra: “Era molta
devota di S. Camillo del quale parlava volentieri e spesso teneva conferenze
alle religiose sullo spirito di S. Camillo e sull’esercizio della carità verso
gli infermi poveri” (Summ. p. 65, & 103).
A.Frare: “Del nostro Santo Padre Camillo ci
raccontava qualche esempio per abituarci a vedere Gesù nelle inferme e che
quanto si fa alle inferme e a Gesù medesimo che si fa, quindi con amore, con
delicatezza e con tutto il cuore”. (Summ. p. 149, in fine).
Joanna
Pedon: “Mossa da una
ardente fede, M. Giuseppina aveva un
gran desiderio di portare a Dio chi era da Lui lontano, e in tal senso parlava
alle sue figlie; consigliava anche di avere dinanzi agli occhi come unico
scopo, quello di piacere e dare gloria al Signore” (Summ. p. 7, & 28).
Agnes
Le Conte: “La serva di
Dio mostrava un grande zelo per le anime, pregava per i peccatori e noi
l’abbiamo sorpresa a piangere a Brescia, per le offese fatte al Signore” (Summ.
p. 20, & 73).
Diomira
Bon: “Madre Giuseppina
ci ricordava che è dovere delle suore arrivare alle anime attraverso i corpi, e
perciò di avere sempre dinanzi agli occhi la salvezza spirituale dei malati. Ci
raccomandava poi di pregare continuamente per gli agonizzanti, in modo che le
loro anime si salvassero. Si addolorava delle offese che venivano arrecate al
Signore e ricordo che un giorno io la vidi in cappella inginocchiata e
piangente. Rialzatasi, andò in sacrestia e si mise a sedere e ad una mia compagna
che le aveva chiesto quale dolore l’affliggeva, essa rispose: “sono addolorata per le offese che
specialmente persone consacrate arrecano al Signore” (Summ. p. 30, &
106).
Amantiam
Perotti: “ Ci
raccomandava di istruirci nelle verità della fede, perché conoscessimo meglio
il Signore, imparassimo ad amarlo nelle creature” (Summ. p. 101, & in
fine).
Antonius
Epicoco: “Durante i
messi passati a Mesagne, la Serva di Dio iniziò anche l’insegnamento della
Dottrina Cristiana ai fanciulli del rione. Scendeva essa medesima in chiesa e
con santa pazienza e soave affabilità sapeva trattenere i ragazzi e terminava
donando medagline, immaginette o libricini” (Summ. p. 110, & 371)
Costituzioni e
Disposizioni Generali Figlie di San
Camillo
Dalle
Costituzioni:
Parte Prima:
Il carisma e la
congregazione
C16: perché il nostro
apostolato sia fecondo cerchiamo di penetrare sempre più intimamente il mistero
di Cristo e di coltivare l’amicizia personale con Lui. Tutta la nostra vita
religiosa dovrà essere permeata dall’amicizia con Dio, affinché sappiamo essere
ministre dell’amore misericordioso di Gesù verso gli infermi.
Così si rende manifesta in noi
quella fede che in San Camillo e nei nostri Fondatori operava nella carità, per
la quale vediamo negli infermi Cristo Crocifisso.
In questa presenza di Cristo nei
malati e in noi, che prestiamo servizio in suo nome, troviamo la fonte della
nostra spiritualità.
Parte Seconda:
Cap. I La vita
della nostra comunità religiosa
C18: Dio creò gli uomini
destinandoli a formare una a formare una unione sociale, in modo che senza
vicendevoli rapporti non possono vivere né sviluppare le proprie doti. Cristo,
poi, costituì in nuovo popolo quanti a lui si uniscono mediante la fede, la
speranza e la carità.
Radunate per mezzo del battesimo in
questo popolo di Dio, con la professione religiosa costituiamo una comunità
ecclesiale con una propria forma di vita.
Consacrate al servizio del regno
nel mondo della salute, sostenute dalla comunione fraterna, tendiamo a
esercitare con frutti le opere del nostro ministero, sull’esempio della Chiesa
apostolica. Siamo chiamate ad essere segno
della comunione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, certe di
parteciparvi fin d’ora.
Cap. II I Consigli Evangelici
C39: Cristo, che abita per
la fede nei nostri cuori, ci ha chiamate alla sua sequela. Attratte da Lui, noi
lo seguiamo più da vicino, consacrandoci a Dio sommamente amato, nel servizio
dei fratelli, la professione dei consigli evangelici.
C46: Con la professione
della castità intendiamo rispondere al dono dello Spirito e, con cuore
libero e indiviso, mettere tutto il nostro essere a servizio del regno.
Questa donazione radicale, che ci
costituisce segno del mondo futuro già presente per la fede e la carità, libera
il cuore da ogni legame esclusivo, favorisce la maturazione della nostra
affettività, ci apre a una comunione gratuita con Dio e con i fratelli, rende
spiritualmente e apostolicamente feconda la nostra vita.
C60: (La obbedienza) La
volontà di Dio si rivela sempre più nella luce della fede, noi la ricerchiamo
ininterrottamente nell’umile ascolto della Parola di Dio, nella Chiesa, negli
eventi quotidiani, nei segni dei tempi, nelle istanze del nostro ministero.
Cap. III Il Ministero
C69: Promuovendo la salute,
curando le malattie e lenendo il dolore noi cooperiamo all’opera di Dio
Creatore, glorifichiamo Dio nel corpo umano ed esprimiamo la fede nella
risurrezione.
C72: Alla luce del Vangelo e
nei modi adatti ai nostri tempi, aiutiamo i malati a trovare una risposta ai
persistenti interrogativi sul senso della vita presente e futura e la loro
mutua relazione, sul significato del dolore, del male e della morte.
Siamo loro vicine, specialmente nei
momenti di oscurità e vulnerabilità, così da diventare noi stesse segno di
speranza.
Nella nostra preghiera abbiamo
presenti i bisogni degli infermi, offrendo a Dio le loro sofferenze e le loro
attese.
C74: Sosteniamo nella fede
gli infermi cronici perché sappiano affrontare con perseveranza le loro limitazioni,
rendere fecondo il tempo della sofferenza per il rinnovamento e la crescita
della loro vita cristiana, esercitare, da soli o uniti ad altri, l’apostolato
proprio degli infermi.
La cura spirituale ad essi dedicata
tende specialmente a rendere fecondo, per la salvezza del mondo, il mistero
della Redenzione, al quale partecipano quanti sono uniti alla passione di
Cristo.
C82:
La Chiesa è missionaria e l’evangelizzazione è dovere di tutto il popolo
di Dio. Il nostro Istituto fedele al mandato del Signore di curare i malati e
di predicare il Vangelo, assume la sua parte e si inserisce con il proprio
carisma nella varietà delle attività missionarie.
C84: Per rispondere
adeguatamente al dono ricevuto da Dio, la Congregazione ricerca in ogni tempo e
luogo la fedeltà al carisma e il rinnovamento del ministero, in sintonia con lo
spirito dei Fondatori e le istanze della inculturazione. Promuoviamo perciò a tale scopo la
riflessione, il discernimento e la cooperazione a livello di comunità, di
Province e d’Istituto.
Cap. IV La vita
spirituale
C90: Manifestiamo l’amore a
Gesù Eucaristia con la visita comunitaria quotidiana. Nel colloquio intimo con
lui ravviviamo la fede, che ce lo fa credere presente sotto le specie del pane
e del vino e riconoscere nella persona del malato.
C97: La nostra vita
religiosa, nella fedele osservanza dei voti, nell’esercizio della carità
fraterna e del ministero, comporta un’intensa ascesi della mente del cuore e di
tutto l’essere.
Perciò nel nostro esteriore modo di
vivere non cerchiamo speciali penitenze; tuttavia siamo fedeli nell’osservare
quelle in uso nell’Istituto, stimiamo e pratichiamo l’abnegazione personale e
la mortificazione, sapendo che solo con fatica raggiungeremo il premio, secondo
l’insegnamento del Fondatore: “L’osservanza
fedele della santa regola e di tutti gli usi, malgrado le difficoltà che
incontrate, il sopportare lietamente e amorosamente per il Signore le
molteplici privazioni alle quali siete soggette, il compatirvi generosamente l’un l’altra nei vostri
difetti, ecco la penitenza che Dio vuole da voi e che io vi domando in suo nome”
(LT 43)
Parte Terza:
Cap. I La
Formazione
C111:
Educhiamo le giovani all’acquisto delle virtù che sono più apprezzate sul
piano umano e rendono più accetto l’apostolato, particolarmente la bontà del
cuore, la sincerità d’animo, il rispetto costante della giustizia, la fedeltà
alla parola data, la gentilezza del tratto, la discrezione e la carità nel
conversare.
Aiutiamo le giovani ad acquistare
l’attitudine al dialogo e al lavoro di gruppo, a collaborare con le sorelle con
i laici, a sviluppare lo spirito d’iniziativa e l’amore allo studio e al
lavoro. Le aiutiamo, inoltre, a conoscere e a interpretare alla luce della fede
i problemi del mondo contemporaneo.
Cap. II Il
Noviziato
C149: Le novizie,
consapevoli della propria responsabilità, si impegnino ad un’attiva
collaborazione con la maestra per poter rispondere fedelmente alla grazia della
vocazione divina.
Fasi
della Formazione
C173: Le Figlie di San
Camillo sono chiamate a proseguire con impegno personale il cammino nella fede
e nella conversione, in fedeltà dinamica allo Spirito Santo e alla propria
consacrazione, secondo il carisma dei Fondatori, per rispondere al disegno di
Dio nelle mutevoli condizioni dei tempi e rendere sempre più efficace
l’apostolato.
A tal fine si impegnano a rinnovare
continuamente la propria vita spirituale, culturale e professionale e ad
aggiornare la propria competenza nell’esercizio del ministero.
Parte Quarta:
Separazione,
uscita dall’Istituto e riammissione
C175: Le Figlie di San
Camillo desiderose di proseguire nella fedeltà alla loro vocazione chiedono a
Dio la grazia della perseveranza. Se tuttavia una suora si trovasse in
particolare difficoltà, le sorelle le siano vicine perché ritrovi il fervore e
la gioia nel servizio del Signore.
Parte Settima:
L’obbligo della
Costituzioni e delle Disposizioni Generali
C254: Prestiamo attenzione
all’ispirata esortazione del Beato Padre Luigi Tezza: “Conto sulla vostra generosità e sul vostro attaccamento alla santa
vocazione per mantenervi con santo coraggio, malgrado tutto, fedeli a ciò che
avete promesso al Signore. Per carità, tenetivi unite al Signore operate in
ogni cosa con spirito di vera fede, non vi permettete avvertitamente la più
piccola mancanza alle sante Regole e alle osservanze di comunità; la negligenza
alla Regola conduce inevitabilmente poco a poco al rilassamento, alla
tiepidezza spirituale e alla colpa” (LT 37-38)
La parola del Fondatore sigillata e
fecondata dal suo lungo silenzioso martirio, offerto “di tutto cuore” al Signore perché noi fossimo “tutte sue e solo sue” (LT 187), ci ottenga la grazia della fedeltà
e della generosità sino alla vetta dell’eroismo.
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