«Ricevete lo Spirito Santo» Commento al Vangelo del 4 giugno 2017, domenica di Pentecoste

L’autore degli Atti degli Apostoli nella pagina proposta per questa straordinaria domenica di Pentecoste sottolinea il fatto che «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua». È un aspetto che merita la dovuta accortezza. Che vuol dire che i popoli sentivano parlare i discepoli nelle loro lingue pur non essendo delle loro terre? Che lingue parlavano i discepoli-missionari? Il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio universale. I discepoli hanno obbedito ad un preciso mandato missionario perché realmente la bella notizia del Maestro di Nazareth raggiungesse tutti i confini della terra, entrasse in ogni cuore. I discepoli si fanno portatori di un annuncio che desidera raggiungere ogni uomo e ogni donna, per questo sanno incarnare bene il messaggio in ogni ambiente di vita, in ogni cultura, in ogni contesto sociale, in tutte le realtà della vita quotidiana. Il fatto che essi parlavano le lingue diverse pur non essendo nativi di quelle terre raggiunte, sta a dire la straordinaria efficacia dell’inculturazione del Vangelo. Il Vangelo non è “una pezza a colori” che va bene dappertutto, ma è un messaggio che entrando nei vicoli della storia la illumina, attraversando le strade del mondo le permea di una nuova linfa vitale, raggiungendo i cuori degli uomini spezza i vincoli della finitezza. In che modo il Vangelo è capace di inculturarsi, ovvero di incarnarsi in ogni realtà? I discepoli hanno saputo far conoscere e amare la lieta notizia contenuta nel Vangelo di Gesù Cristo con la vicinanza umana e l’amore. Sono queste le lingue conosciute e parlate dai primi annunciatori evangelici nelle loro predicazioni senza sosta, nei loro straordinari incontri che hanno generato nuove comunità cristiane, nei loro viaggi di una speranza certa, di una fede retta e di una carità perfetta. 

La vicinanza umana e l’amore sono le lingue dell’uomo, di ogni uomo. Quelle lingue che ha saputo parlare il Maestro Gesù. Sono le lingue della Chiesa. Quando la Chiesa non è in grado di praticare queste due “lingue ufficiali”, non è in grado di accostare il Vangelo all'uomo, non è capace di additare all'umanità i germogli di una speranza già contenuta nel Vangelo. La Chiesa che sa parlare le lingue dell’umanità e dell’amore è «la comunità evangelizzatrice che si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all'umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce», come ci ricorda Papa Francesco in Evangelii gaudium (24). 

La Chiesa deve saper parlare le lingue degli uomini. Una Chiesa capace di parlare queste lingue sarà una comunità capace di andare dritto al cuore di ciascun uomo. Queste lingue rendono la Chiesa capace di annunciare con amorevole passione il messaggio di liberazione contenuto nel Vangelo di Gesù Cristo. La Chiesa che sa parlare queste due lingue è una Chiesa che ha il coraggio di cambiare la sua terminologia perché il messaggio evangelico arrivi a tutti. È la Chiesa che deve limare certi termini che oggi sarebbero incomprensibili all'udito e al cuore degli uomini che riservano pregiudizi a priori perché quel messaggio evangelico sia gustato davvero da tutti. Così ci esorta ancora Papa Francesco nell’Evangelii gaudium: «Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (25). 
L’umanità e l’amore sono le lingue che Dio ha usato incarnandosi così nella storia dell’umanità mediante Cristo. Dio ha usato la lingua umana nell'amore per comunicare con l’uomo, ha adottato un nuovo stile linguistico per rendersi comprensibile, per farsi percepire in modo sorprendete accanto all'uomo. Modificare il linguaggio non vuol dire modificare il contenuto. Per questo oggi noi cristiani non dobbiamo aver paura di “adattare” il nostro linguaggio a quello del mondo. Fermi nei contenuti, convinti del messaggio che libera, dobbiamo essere coraggiosi a saper proporre il Vangelo in modo nuovo e affascinante. Pentecoste allora vuol dire capacità di incarnare il Vangelo nella vita di ogni giorno dell’uomo. Pentecoste è lasciare che si posano nei nostri cuori le lingue di fuoco, quelle dell’umanità e dell’amore, della pace e della giustizia, della gioia e della misericordia. Pentecoste è rendere la Chiesa capace di non stancarsi mai di camminare con i viandanti della storia umana. Pentecoste è avere il coraggio come cristiani di raggiungere i confini dei cuori feriti dell’uomo per parlargli di un Dio affascinante e affascinato. Pentecoste è correre laddove il Vangelo non ha ancora bagnato la terra fertile dell’uomo in attesa di redenzione. Pentecoste è accendere lumi di speranza nell'entroterra di una umanità accecata dalla cattiveria e dalla disperazione, dal dolore e dalla morte, dall'egoismo e dalla paura. 
Padre Onofrio Antonio Farinola

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