«Amate i vostri nemici» Commento al Vangelo del 19 febbraio 2017, VII domenica T.O.

Questo Maestro di Nazareth chiede troppo! “Avete inteso che fu detto… Ma io vi dico”. Non fa altro che ripetere queste parole. È come se dicesse: “Cominciamo ad invertire la logica. Cambiamo visione delle cose. Fino ad oggi avete fatto così, da questo momento si fa in un altro modo”. Possiamo parlare di un estro spirituale, di una eversività dello spirito. C’è una creatività ma anche un rovesciamento della logica. Gesù è un creativo, ma è anche un eversivo. “Egli è per la rovina e la risurrezione di molti”, direbbe il santo e saggio Simeone (Lc 2,34). La sua creatività ed eversività non placano affatto la coscienza umana, ma la scombussolano, la rendono inquieta. Non è però un capriccio dei Gesù di Nazareth quella della creatività e dell’eversività spirituale, quanto invece uno sprono perché “siate santi, perché io, il vostro Dio, sono santo” (Prima lettura). La santità è l’obiettivo che Gesù pone al credente come meta da raggiungere. La risposta ce l’abbiamo già su chi sia il santo. Ma ce lo chiediamo ancora per cercare di tratteggiare la fisionomia di un santo: chi è dunque il santo? Quali le sue caratteristiche. Chiariamo subito: il santo non ha nulla a che spartire con la nicchia che altro non fa che ingabbiarlo in un cliché, che renderlo prigioniero di una logica sedentaria e bonacciona. La prima caratteristica di un santo è la “santa inquietudine”. Il santo dunque, è un inquieto. Da cosa nasce questo movimento interiore? Pensiamo un attimo ai nostri santi, per esempio a Francesco d’Assisi o a Madre Teresa di Calcutta, non erano affatto “santi tranquilli”. Erano appunto inquieti. Il Vangelo li rendeva tali, li interrogava continuamente, li metteva sempre in discussione. 
È il Vangelo l’origine della “santa inquietudine”. Quel Vangelo che ti chiede di cambiare sempre nella vita, di essere un “controcorrentista”, di essere “rovina e risurrezione di molti”, di inquietare anche gli altri, di smuovere le coscienze. Altrimenti “se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? E se date il saluto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?” (Vangelo). Ecco, tu devi essere diverso, devi fare il contrario, in bene, di ciò che fanno gli altri. Ed è questo che genera l’inquietudine dello spirito nella coscienza del credente in Cristo. Un'altra caratteristica del santo è la sua tensione alla perfezione, memore della raccomandazione del Maestro Gesù: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Vangelo). Il santo non è una persona superficiale, non si accontenta della mediocrità. Il santo desidera essere perfetto. Non a caso quel “siate perfetti” è l’equivalente di quel “siate santi” che troviamo nella prima lettura del libro del Levitico. Il desiderio della perfezione è il desiderio della santità. Il cristiano che desidera raggiungere la vetta della santità, e tutti dovrebbero desiderarlo, vuole essere perfetto, vuole, cioè, corrispondere in maniera inequivocabile alla logica creativa ed eversiva del Vangelo. 
Una terza caratteristica del credente santo è la capacità di scomparire, il mettersi da parte per amore del prossimo, il donare in maniera incondizionata. Per questo Gesù ripete: “Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle”. In una parola: sii disinteressato, da’ e basta. Il santo dona e sparisce, dona e basta. Egli prova piacere a donare senza la pretesa di ricevere nemmeno un grazie. Fa della carità la legge suprema della sua esistenza cristiana, così come insegna Gesù. Inquietudine, desiderio di perfezione e amore incondizionato sono le tre caratteristiche di un santo. E non i presunti miracoli o le belle parole, o i grandi panegirici, o le plateali gesta. E la santità non è nemmeno il buonismo imperante e sdolcinato in un credente. Anzi, la santità richiede una dote maggiorata di determinazione. I santi, uomini e donne, sono determinati. Diciamolo pure, caparbi, testardi. Ed è proprio la loro testardaggine che li rende inquieti, che fa di loro persone controcorrenti, che fa desiderare sempre di più e meglio, che li porta a vivere un amore disinteressato, quasi non curanti di se stessi. 
E noi sentiamo questo desiderio della santità? 
Padre Onofrio Antonio Farinola
sacerdote cappuccino

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